Antonio Errigo
14/02/2013
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foto Tanzania

Sono quasi sempre vecchi ricordi. Gelosamente custoditi. Rievocati con chirurgica precisione. Quando sei solo …

 

Germogliano imprevedibilmente davanti ai nostri occhi. Si prendono tutto il tempo. Si muovono con lentezza.

 

Si chiamano piccole cose.

 

 

E sono l’intima ragione delle nostre diverse felicità. E sì, perché si può essere felici in tanti modi diversi …

 

Si può vivere di ricchezza, di prosperità e d’abbondanza per soddisfare il senso etimologico della parola felicità.

 

Ma quando soddisfiamo noi stessi?

Quand’è che sentiamo quel brivido lungo la schiena che arriva fino ai nostri sorrisi, a volte pieni, a volte accennati?

Quand’è che sentiamo di occupare tutto lo spazio che ci è concesso in questo mondo?

 

Beh …

 

Accade quando sfiori la pancia della donna che sta al tuo fianco. Quando speri che quella carezza attraversi la placenta, lasciando anche a te l’opportunità di avere un piccolo scambio metabolico con quel minuscolo essere che un giorno ti chiamerà papà.

Accade quando quel gesto provoca un sorriso d’intesa tra te e lei.

 

Le piccole cose. Sì, sono quelle che giustificano la tua passeggiata a piedi scalzi. Non importa cosa indossi sopra. Che sia una giacca, una cravatta, o un abito da sera elegantissimo … di quelli con lo spacco … l’importante, ad un certo  punto, è avere i piedi scalzi. Avere qualche ciottolo che ti massaggi i piedi stanchi in riva al mare. Della sabbia bagnata. O, meglio ancora, dell’erba verde e fresca in una giornata di sole.

 

Sono loro, le piccole cose, a determinare la bellezza delle mie giornate.

 

D’estate è il bagno che faccio mentre vedo scomparire il sole dietro la Sicilia. Quando non fa più caldo. Quando, appena fuori dall’acqua, mi soffermo infreddolito, con indosso l’asciugamano, a guardare gli ultimi tiepidi riflessi della giornata.

 

D’inverno è un vetro appannato, sul quale devo per forza tracciare una linea con i miei polpastrelli. Un piccolo smile o scrivere il mio nome, come per ricordarlo. Per non dimenticarlo mai. Lo stesso di un nonno di cui ho sfocati ricordi visivi, pur ricordando alla perfezione la sensazione provata nel tastare la sua pelle. Lui che me lo avrà concesso poche volte. Lui così scuro e sorridente. Così burbero e divertente. Lui che cuciva silenziosamente le sue reti da pesca fumando le sue sigarette… che dipingeva di verde, bianco e rosso le sue barche. Lui che vive nei racconti di mio padre.

 

In primavera, beh … la primavera è piena di piccole cose che ci rendono felici.

Un risveglio.

Un colore.

Un profumo.

Per me, per esempio, la primavera è gialla. Anche un po’ rosa, ma soprattutto gialla. E c’è quasi sempre una vecchia Vespa del ’46.

 

La primavera è fatta per passeggiare col tuo cane. Per dedicare a lui tutte quelle attenzioni che merita.

I cani comunicano meglio di noi uomini a volte. Sono più saggi. Sanno cogliere meglio la contentezza. Scodinzolano. Sorridono. E cosa chiedono se non avere la semplice possibilità di riportarti indietro quel ramo secco? Di avere la possibilità di dimostrare la loro assoluta fedeltà? È una possibilità che tra noi umani ci concediamo poche volte …

 

 

Le piccole cose sono il movente. La causa di alcuni drammi sentimentali. Quelle cose che l’amore da e che, quando te le toglie, tu rimani lì a dire “sì va beh, calma. Ragioniamo! Tu mi lasci … e ora con chi vado a fare la spesa la domenica? (come se stare in coppia si limitasse alla passeggiata domenicale al centro commerciale) … Ferma ferma… chi mi dirà che l’abbinamento pantalone marroncino e maglione verde mi fa somigliare ad un albero? Ridendo come una cretina?! No no… dico, tu mi lasci e io chi abbraccio dopo aver fatto l’amore, tutto sudato e tremolante?

 

Una piccola cosa è la parola Terminal, in aeroporto. Non l’ho mai capita veramente. È una parola sbagliata. Quando si parte o si torna non termina proprio nulla. Anzi, inizia sempre qualcosa. Una nuova esperienza. Un nuovo ciclo di vita.

 

Beh, poi in aeroporto ci sono tante altre piccole cose che bilanciano il madornale errore della parola Terminal.

 

Per esempio il saluto. Sì, quando saluti la persona che ti ha accompagnato o quella che ti viene a prendere. Quell’abbraccio vero e sincero. Quel tacito “hey tu… mi raccomando, occhio dove metti i piedi … non ti ficcare nei guai”, racchiuso in una pacca sulla spalla.

Oppure quel “finalmente!”, incipit di qualsiasi decollo o atterraggio.

 

Le piccole cose cambiano le sorti dei viaggi, la prospettiva di uno sguardo buttato verso l’orizzonte. Come quello di quel ragazzo seduto sul molo, con i piedi a penzoloni, che se ne sta lì ad osservare le correnti e le maree prima di accompagnarci da Dar Es Salaam all’isola di Bongoyo in Tanzania.

Sono le sue scarpe impolverate a darci la sensazione che tutto andrà bene. È quel breve momento che ci fa sentire più liberi.

 

Per non parlare poi dell’acqua fredda e frizzante che corri a bere durante una notte d’estate. Quando una pizza mal lievitata ti costringe a bruschi risvegli. Ma che soddisfazione è quella di attaccarsi alla bottiglia?! Un po’ meno quella botta involontaria che dai col mignolino del piede al comodino, nell’oscurità della notte. Perché tu, ad accendere la luce, non ci pensi proprio… ti farebbe raggrinzire fastidiosamente gli occhi. Meglio procedere a tastoni … casa tua la conosci a memoria.

 

Vogliamo parlare delle bruschette con l’olio d’oliva? Quello buono. Quello denso e un po’ verde. Quello che dici “Oh, questo sì che è olio…”.  Cosa c’è di più semplice di una bruschetta con l’olio?

 

Le foto di famiglia. Gli abiti di qualche anno fa, che ritrovi in vecchi armadi o cassetti, e che provi a indossare nuovamente, ma che “proprio no… no… se non li mettevo più ci sarà stata una ragione”. Le musicassette. Il lettore cd portatile. I cd, decisamente più ingombranti del lettore cd portatile. Le piccole cose sono quasi sempre degli anni ’90.

 

Le piccole cose hanno una loro autorità nella mia vita. Determinano i miei rapporti. Giustificano i miei umori.

Ed io non posso fare a meno di una lacrima asciugata. Di una risata rumorosa dopo una stupida barzelletta. Di un’alba. Di un bacio. Di un sms della buonanotte o di una chiamata al suo risveglio. Non posso neanche fare a meno di annoiarmi a stendere i panni ma godere, poi, di una felpa pulita e profumata avvicinata al mio viso prima di essere indossata.

 

Ho ancora bisogno di correre velocemente a prendere il regionale delle 7 e 40. Affaticato sì, ma felice di aver rubato quindici minuti alla mia sveglia prima, lì, nel tepore delle mie coperte.

 

Ho bisogno di versare, dentro la mia tazza di latte, l’ultimo goccio di caffè che trovo già pronto sui fornelli spenti.

 

Ho ancora voglia di dare un peso a tutto questo.

 

A domani…

 

 

 

 

 

[foto by ALESSANDRO BAGNOLATI]

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