Antonio Errigo
07/10/2013
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A scuola ero bravo abbastanza.

 

Attenzione! Non bravo, ma bravo abbastanza …

 

Ero cioè sufficientemente attento. Sufficientemente preparato. Sufficientemente educato. Sufficientemente critico.

 

Ero dunque capace di arrivare a ciò che bastava per soddisfare quella necessità che tradotta in lettere era una C, che interpretata con un aggettivo era sufficiente o buono, che decifrata attraverso un numero era un sei o un sette.

 

Ricordo che un giorno la mia professoressa di italiano mi disse che il mio tema era troppo sintetico. Che, sì, avevo scritto bene ciò che andava scritto, ma che il mio tema era troppo breve. Troppo condensato.

 

Non capivo. Le chiesi delle spiegazioni meno sintetiche, meno brevi, meno condensate. E lei, perentoria, mi disse una frase sulla quale avrei riflettuto per il resto dei miei giorni:

 

«Vedi Errigo, chi usa duemila parole, nonostante tutto, prevale sempre su chi ne usa solo mille»

 

Tornai al mio posto, ultimo banco a destra. Esitavo, ero dubbioso e disorientato.

 

Rifletterò ancora a lungo su quelle parole. Dicono che il tempo sia galantuomo, forse un giorno capirò.

 

È davvero così? Oggi francamente non ne sono ancora convinto…

 

Sapete, chi usa duemila parole non è detto che prevarrà sempre. Perché il sempre non esiste. Perché duemila parole non servono.

 

Non servono troppe parole per presentarci. La nostra stretta di mano conta di più.

Non servono troppe parole per raccontarci. La scelta del luogo dove poter passeggiare con lei, dice molto di più.

Per innamorarsi, poi, le parole non servono proprio.

 

Non servono duemila parole per i morti di Lampedusa. Perché i veri naufraghi siamo noi. Che moriremo solo un po’ più lentamente, mentre proveremo a sopravvivere indifferenti a tutto questo schifo che ci circonda.

 

Non servono troppe parole per dire che abbiamo perso l’abitudine d’esser sinceri, diretti, veri.  Che abbiamo perso l’abitudine di confrontarci. Che abbiamo perso la voglia di farlo…

 

Servono pochissime parole per dire che, in fondo, siamo avvezzi alla solitudine. Che ci hanno addestrati ben bene all’isolamento, anche quando siamo in compagnia.

È stato sufficiente farci acquistare uno smartphone. E badate, non è la solita cagata paternalistica. Ogni giorno condividiamo momenti che non abbiamo vissuto.

Voi, io, noi, ieri sera a cena al ristorante, o al cinema, o all’aperitivo con gli amici, o in palestra, o a casa davanti alla tv, stringevate, stringevamo, un telefono tra le mani che ci ha fatto abbandonare la realtà.

Che era più bella la realtà.

Che era più bella.

Che era più.

Che era.

Oggi non c’è già più…

 

Non servono troppe parole per dire che viviamo nell’epoca del “si salvi chi può”, del “prevarica prima che prevarichino su di te”, del “deruba prima che ti derubino”, del “picchia prima che ti picchino”.

 

Non servono troppe parole per dirvi che solo gli spiriti deboli e confusi usano duemila vocaboli, spesso abilmente, ma per giustificare che, in fondo, non hanno niente da dire…

 

 

Buona settimana.

 

 

 

 

[photo by ANTONIO ERRIGO]

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