Antonio Errigo
10/08/2017
Commenti
FullSizeRender-2 copia 2

 

 

 

Spesso è con i propri limiti che bisogna fare i conti. E durante questo viaggio ho scoperto di averne molti di più di quanto non pensassi.

 

Sapete, io non ho mai provato attrazione per l’Oriente e ogni (invalida) ragione è figlia di scadenti pregiudizi.

Ma ora sono qui e sono felice di esserci. Un uomo di (mezzo) mondo alla ricerca d’una completezza che arriverà, prima o poi.

 

Forse questo viaggio nel sud-est asiatico mi aiuterà a superare questi limiti da trentatreenne imborghesito e sarò capace di insegnare ai miei figli quanto è importante viaggiare, quanto è importante saper riconoscere il bello, saper guardare i gesti degli altri popoli e, talvolta, in quei gesti saperci ritrovare se stessi. Sarò capace dopo questo viaggio di insegnar loro quanto è importante sapersi adattare in luoghi che non ci appartengono. Quanto importante è, talvolta, fidarsi delle persone che ti stanno accanto e lasciarsi trascinare.

 

Pochi giorni fa io e Giulia abbiamo messo una tacca sui nostri due primi anni insieme. Un tempo denso che ha rappresentato per me una rivoluzione dell’anima.

 

Ora lei, tra un sobbalzo e l’altro di un bus che viaggia su strade dissestate, cerca di dormire. Siamo di ritorno da una escursione tra la natura di Hoa Lū, iniziata questa mattina presto. Siamo partiti da Hanoi, la capitale del Vietnam. Una città non troppo diversa da Ho Chi Min City e dunque caotica, disordinata e sregolata ma con un unico vantaggio: qui ho trovato una pizzeria dove ho mangiato una delle migliori pizze Margherita della mia vita e parlo da esperto, da cultore della pizza napoletana. Sarà difficile da credere ma è così: ad Hanoi, in Vietnam ho detto un bel “ciaone proprio” al riso, al pollo e alle verdurine, almeno per un paio di giorni.

 

Ma torniamo a noi.

 

Da circa due ore e mezza viaggiamo per rientrare in hotel. Dal finestrino ammiro rilassato le distese infinite di risaie d’un verde acceso e illuminato dagli ultimi raggi di sole. I nostri compagni di viaggio – francesi, coreani, australiani, catalani – sono finalmente in silenzio. Siamo tutti stanchi.

Ed è proprio ora che posso buttare giù qualche riga riguardo al Vietnam e le sue storie.

 

Inizio dalle vie brulicanti di Huê, una città dove abbiamo sofferto il caldo-umido tipico di questi luoghi. Una città con una gioventù vibrante: adolescenti che si vestono bene per andare in terribili discoteche ricavate in garage di fortuna. Li ho osservati dal balcone di un pub a questi ragazzini, pronti a dare goffe dimostrazioni di virilità sgassando prepotentemente con vecchi motorini e queste ragazze acerbe, smaliziate in quei vani tentativi di ostentazione d’una femminilità che forse arriverà tra qualche anno.

 

Scene di vita identiche a quelle viste in tutte le altre città del mondo. Scene delle quali forse avrò fatto parte anche io in un passato che comincia a sbiadirsi sempre più.

 

Huê è ricca di una storia austera. Le sue tipiche pagode e le sue tombe, raggiunte in barca su un fiume calmo ed oleoso, sono il simbolo di un luogo mistico.

 

Ma è nella città di Hoi An che io e Giulia abbiamo lasciato un pezzo di noi stessi.

 

Vedete, io sono convinto che in ogni viaggio ognuno di noi, più o meno consapevolmente, lascia una traccia di se stesso nei luoghi che visita. Una traccia che gli permetterà di ritrovarsi nei momenti di smarrimento che la vita ci riserva.

 

Nei momenti di vita dominati dagli indugi, infatti, a me è capitato di attaccarmi ai profumi del Bosforo ad Istanbul, alla lucentezza di Times Square a New York, al ricordo delle spiagge sconfinate di Baleal in Portogallo e ai suoni della mia Calabria. È nelle tracce di quei ricordi che ho ritrovato gli stimoli giusti per ripartire. Sono certo che in futuro potrò appellarmi all’oscurità vinta dalle lanterne colorate di cui Hoi An è piena.

 

Luci tutto intorno, piccole fiammelle posate sull’acqua dai barcaioli con un rito tramandato da generazione in generazione, candele che galleggiano su un fiume quieto e rilassante.

 

Avevo dimenticato quanto i colori, con la loro purezza, potessero influenzare gli stati d’animo della gente. Ad Hoi An nessun bagliore oscura la vista. Ci sono solo luci che cullano e illuminano i sorrisi di chi calpesta il lungofiume alternando uno sguardo verso l’acqua ed uno verso il cielo.

 

Ma non è solo col ricordo della “Città delle Lanterne” che vado via. Dovete sapere che Hoi An è famosa per i suoi tessuti e per le sue maestrie sartoriali. E dovete sapere  anche che qui ogni acquisto è figlio di una contrattazione brutale. Un po’ come fanno le mamme italiane con i negozianti, facendo imbarazzare noi figli!

 

Ecco, io e Giulia siamo entrati nella parte e, volendo acquistare delle sciarpe in cashmere di ottima qualità, abbiamo iniziato a mercanteggiare in un piccolo negozio sul fiume.

Ad accoglierci una ragazza dai modi garbati, con una pronuncia inglese di molto superiore alla media. La trattativa stava per concludersi malamente per la fermezza di quella giovane donna convinta di vendere un prodotto che meritava il prezzo iniziale ma alla fine l’abbiamo spuntata anche se ho percepito la contrarietà negli occhi della ragazza. Ma il punto non è questo…

 

In fondo al negozio, tra una parete umida ed uno scaffale, in mezzo ai tessuti colorati, ho intravisto una chitarra classica. Ho avuto l’istinto di prenderla per strimpellarla ma mi sono trattenuto. Ho chiesto alla commessa se sapesse suonarla e lei mi ha risposto di sì. E allora l’ho incalzata e le ho fatto i complimenti per la pronuncia inglese, chiedendole se avesse studiato fuori da Hoi An. E a quel punto lei mi ha spiegato di essere laureata in economia. Ho percepito un orgoglio smisurato quando me lo ha detto. Abbiamo pagato e siamo andati via.

 

Ho camminato osservando le luci e interrogandomi sulla vita di una donna nata in un provincia (direi povera) del Vietnam, laureata in economia e confinata nei meandri di un negozietto di tessuti. Magari un negozio di famiglia. D’una famiglia che si è sacrificata, trattando ogni giorno con i fornitori e tirando sui prezzi dei tessuti per mantenere la propria figlia agli studi…

Chissà quale storia meravigliosa c’era dietro quel cashmere colorato e quella chitarra classica strimpellata guardando il fiume. Avrei dovuto osare di più e chiedere.

 

Ma gli interrogativi restano lì così, senza una risposta.  Adesso è ora di prepare nuovamente la valigia. Domani partiremo alla volta della Baia di Ha Long.

 

Domani sarà il mare a raccontarci altre storie di questo (mezzo) mondo che rifiutavo ma che, in fondo, ha tanto ancora da darmi.

 

Buonanotte ai sognatori.

 

 

 

 

 

 

 

 

[photo by GIULIA CARGANICO]

 

 

 

 

 

 

COMMENTI: