Antonio Errigo
12/02/2013
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È una serata strana questa. Strana.

 

Io qui giù non ci scendo mai. Entro sempre al piano di sopra. Ingresso principale.

Io faccio la doccia al piano di sopra, mangio, scherzo e scrivo al piano di sopra.

 

E non so perché sono sceso qui giù stasera. È stata una cosa naturale. Non ci ho pensato. L’ho fatto. Ho imboccato le scale ed eccomi catapultato in un posto che è, insieme, mio ma più estraneo che mai.

 

È stato facile abituarsi però. Come quando, involontariamente, un oggetto, una canzone, un profumo, ti fa capitolare indietro nella tua vita. A rievocare il tuo passato, talvolta sfibrato, talvolta divertito.

 

È una di quelle serate strane. Belle e strane allo stesso tempo.

 

C’è il freddo.

C’è il camino.

C’è la legna. Quella vera, quella che arde, quella che scoppietta, quella che si consuma sotto il mio viso arrossato, quella che diventa arancione, incandescente.

 

C’è anche il divano. Non ricordo di averne visti altri nella mia vita.

È sempre lo stesso. In pelle marrone. Consumato. Irrecuperabile. Comodo.

 

C’è persino lo stereo acceso.

La voce di Bruce Springsteen in “Streets of Philadelphia” è più calda. Di più, rispetto al solito.

È una di quelle serate in cui il libro che stringo tra le mani, quello che adesso appoggio sulla mia gamba infilando il dito indice lì, tra una pagina e l’altra per mantenere il segno, sembra essere stanco di farmi compagnia.

Sembra volermi chiedere di lasciarlo andare via. Almeno per questa sera.

Sembra volermi consigliare di accettare quei pensieri che sono sull’uscio della mia mente…

 

*   *   *   *

 

Ero felice quel pomeriggio lì. L’avevo raggiunta a casa sua. E casa sua non era solamente al centro di Londra. Era al centro del mondo. Del mio mondo. Del nostro mondo. Era la ragione per cui io l’amavo. Perché casa sua parlava più di quanto non facesse lei.

 

Il suo disordine era rumoroso. Ma il colore delle sue lenzuola era anonimo e silenzioso. Dai suoi armadi socchiusi s’intravedevano abiti inespressivi a destra, incisivi e colorati a sinistra. Diversi, come i suoi umori. Una candela qua. Un incenso là. La musica sempre accesa …

 

Il capo che preferivo era di jeans. Sì, un paio di jeans, ben cuciti addosso al suo fisico esile. Ma non erano stretti. Le si appoggiavano sui fianchi con grazia. Li risvoltava un po’ sulle caviglie. Le piaceva far notare le sue Duilio invecchiate. Quelle scarpe dalle quali non si sarebbe mai separata, se non per necessità. Perché erano quelle scarpe che ogni tanto le sussurravano “hey tu … non ti fermare che puoi fare ancora un passo”.

 

E lei a certe cose ci crede. Proprio come me.

 

Piove. Ma qui è la regola.

Sono sdraiato sul suo letto. Che ormai sento anche un po’ mio. Anche se non lo dico. Sono sdraiato qui e fisso la linea delle sue labbra che forma un sorriso. Chissà a cosa sta pensando. Non le chiedo nulla. Volutamente. Preferisco immaginarlo. Preferisco sbagliare e non sapere.

 

Meditabonda e pensierosa. È meravigliosa. Non posso e non voglio distrarla da se stessa.

 

E che ci posso fare ragazzi. A me questa donna m’ha fregato.

Ma più che lei … sono le sue mani che mi fregano.

 

Le sue mani impegnano i miei pensieri, le mie fantasie e i miei sogni… lo smalto è colorato.

 

Non mi piace sempre il colore. Ma non è importante.

 

Mi piace l’idea che ho di lei, mentre se ne sta lì, affaccendata e assorta, con acetone e batuffoli di ovatta, a strappar via lo smalto vecchio e spennellare delicatamente quello nuovo.

 

È bello avere un’idea della persona che ami. La vita a volte te la smonta. Ma cos’è l’amore se non un’idea, un’essenza, una forma, un proposito, una prospettiva … una proiezione?

 

Io ora guardo lei e penso che le altre donne per rinnovarsi vanno dal parrucchiere e tagliano i capelli. Un cliché

Dicono di star meglio dopo. Ma dura solo qualche giorno…

Quando l’immagine riflessa sui loro specchi non è più una novità, l’apatia ritorna nei loro occhi e ancor di più nei loro discorsi.

 

Lei invece è meno impegnativa. O più impegnativa, questione di punti di vista…

Cambia solo il colore dello smalto ed è un rito che compie spesso, come a dire che i suoi cambiamenti sono più veloci, più costanti. Imprevedibili, certo.

 

I capelli si tagliano più di rado. E quando lo si fa, ci sono sempre troppe aspettative.

 

E durante questo rito lei mi permette di star qui. Di assistere. Di partecipare ma facendo un patto col silenzio.

Ho imparato a non subirli i suoi cambiamenti repentini. A rispettarli. Ad invidiarli.

 

A volte vorrei essere anche io come lei. Vorrei fosse così facile anche per me.

Una botta di colore e via.

Compiaciuta, sorridente … a guardarsi le mani nuove.

 

Ora che ha terminato, ora che lo smalto è asciutto e brillante sulle sue dita, ora … alza lo sguardo e lo rivolge verso di me. È uno sguardo morbido. È uno sguardo delicato. È il suo sguardo.

 

Si avvicina. Si toglie le scarpe. Si sdraia. Mi bacia. Si stringe le mie mani addosso.

Penso che non ci siamo detti una parola io e lei, ma è come se ci fossimo detti tutto. Tutto quello che c’era da dire oggi. Qui. Adesso. A casa sua. A Londra.

 

 

*   *   *   *

Il fuoco è ormai flebile e lieve. Lascerò che si spenga da se.

 

Accarezzo la pelle ruvida di questo vecchio sofà. È stato bello venire qui giù.

 

 

A volte basta poco per star bene. Un po di smalto … un ricordo.

 

Buonanotte.

 

 

 

 

 

 

 

 

[foto by CARLOTTA LA ROCCA]

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